Il formaggio si ottiene attraverso la trasformazione biotecnologica del latte, una sostanza composta principalmente di acqua, nella quale nuotano però una serie di sostanze interessanti: zucchero (il lattosio), grassi, vitamine, minerali. E soprattutto, proteine.
La proteina più abbondante nel latte di mucca – che rappresenta l’80 per cento del totale – è la caseina. O meglio, le caseine, visto che ce ne sono quattro, contrassegnate da diverse lettere dell’alfabeto greco.
Come tutte le proteine, anche le caseine sono formate da una sequenza di mattoncini (gli amminoacidi) attaccati l’uno all’altro in lunghe catene.
Nella maggior parte dei casi, le proteine non amano lasciar fluttuare disordinatamente le loro catene, e preferiscono ripiegarle in belle strutture geometriche, come eliche o trecce; queste vengono poi arrotolate in grovigli apparentemente caotici, che sono però il frutto di un disegno studiato a tavolino. In questo modo, solo la loro superficie esterna entra in contatto con l’ambiente (l’acqua nella quale nuotano), mentre l’interno rimane nascosto e protetto.
Nella maggior parte dei casi, le proteine non amano lasciar fluttuare disordinatamente le loro catene, e preferiscono ripiegarle in belle strutture geometriche, come eliche o trecce; queste vengono poi arrotolate in grovigli apparentemente caotici, che sono però il frutto di un disegno studiato a tavolino. In questo modo, solo la loro superficie esterna entra in contatto con l’ambiente (l’acqua nella quale nuotano), mentre l’interno rimane nascosto e protetto.
Le caseine si comportano diversamente: lasciano le loro catene libere e disordinate, interamente esposte all’ambiente esterno. La loro, più che una scelta, è un obbligo. Tutti i membri della famiglia infatti soffrono di una certa rigidità nei movimenti, causata da un particolare amminoacido – la prolina – presente in quantità massicce nelle loro catene.
Questo amminoacido, noto per la sua mancanza di elasticità, funziona più o meno come la maglia schiacciata di una catena, che ne rende difficile l’articolazione: la sua presenza rende le caseine rigide e impedisce loro di ripiegarsi come le proteine normali.
Questo amminoacido, noto per la sua mancanza di elasticità, funziona più o meno come la maglia schiacciata di una catena, che ne rende difficile l’articolazione: la sua presenza rende le caseine rigide e impedisce loro di ripiegarsi come le proteine normali.
Cheese is GOD! Immagine a utilizzo libero presa da theatheistpig.com |
Non potendo stare al mondo da sole perché prive di una forma decente, le caseine sono costrette a riunirsi in grandi gruppi per sopravvivere. Tutte insieme, formano grandi strutture sferiche chiamate micelle: all’interno sono presenti tre tipi di caseine, tenuti insieme da una buona dose di calcio, che fa da cemento; all’esterno si trovano solo caseine del tipo k, dalle code svolazzanti, che ricoprono come una peluria la superficie delle micelle.
Finché mantengono la loro chioma, le micelle fluttuano indisturbate nel latte: per convincerle a diventare formaggio bisogna introdurre un elemento che rompa la loro quiete. Questo è il caglio, una proteina che tradizionalmente veniva estratta dallo stomaco dei vitelli, ma che oggi viene spesso prodotta usando dei batteri OGM.
Il caglio è una proteasi, cioè una proteina-cesoia, la cui funzione è tranciare le catene di altre proteine. Di proteasi ce ne sono molte: alcune tagliano in maniera indiscriminata, altre selezionano con cura le loro vittime. Il caglio è di quelle dai gusti difficili e, tra tutte le proteine presenti nel latte, l’unica che si adatta alle sue caratteristiche è proprio la caseina k.
Il caglio la taglia alla radice, privando le micelle della loro copertura “pelosa” ed esponendo le caseine presenti al loro interno, appiccicose come farina bagnata. Le micelle, diventate adesive, finiscono per incollarsi l’una all’altra come tocchetti di mozzarella passati in padella.
Con l’aggiunta del caglio, quindi, il latte si coagula in una pasta gelatinosa – la cagliata – formata da un reticolo di micelle, all’interno del quale rimane intrappolata una grande quantità di acqua.
Il caglio la taglia alla radice, privando le micelle della loro copertura “pelosa” ed esponendo le caseine presenti al loro interno, appiccicose come farina bagnata. Le micelle, diventate adesive, finiscono per incollarsi l’una all’altra come tocchetti di mozzarella passati in padella.
Con l’aggiunta del caglio, quindi, il latte si coagula in una pasta gelatinosa – la cagliata – formata da un reticolo di micelle, all’interno del quale rimane intrappolata una grande quantità di acqua.
A seconda del prodotto che si vuole ottenere, la cagliata può essere poi compressa (per eliminare l’acqua in eccesso), salata, aromatizzata e lasciata a stagionare.
Illustrazione realizzata da Winston Rowntree e riprodotta con permesso da viruscomix.com |
Oltre all’acqua, anche buona parte dei grassi presenti nel latte di partenza rimangono intrappolati tra le maglie del reticolo, finendo quindi nella cagliata (e nel formaggio).
Alcuni di loro invece sfuggono al reticolo delle micelle e continuano a fluttuare nel siero, il liquido di scarto della produzione del formaggio. Nel siero si trova anche quel 20 per cento di proteine del latte che NON sono caseine, che sono state ignorate dal caglio e che quindi non hanno partecipato alla coagulazione della cagliata. Dai grassi e dalle proteine “di scarto” presenti nel siero si crea un delizioso surrogato del formaggio: la ricotta.
Al contrario delle caseine, le proteine del siero hanno una conformazione normale, di matasse ingegnosamente aggrovigliate. Tuttavia, proprio perché la loro struttura è così ordinata, e non caotica come quella delle caseine, le proteine del siero non possono resistere a maltrattamenti troppo energici, capaci di stravolgerne la conformazione.
La cottura a temperature vicine all’ebollizione – alla quale viene sottoposto il siero durante la preparazione della ri-cotta – è decisamente troppo per loro. L’intenso calore scardina le proteine del siero, che si aprono come vongole, e perdono la capacità di stare in acqua. L’unica cosa che rimane loro da fare è coagularsi e venire a galla formando, insieme agli ultimi grassi superstiti, candidi fiocchi di ricotta.
Fonti
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