13 maggio 2013

Il wasabi: l'ondata di dolore che può dare piacere

Sabato sera al ristorante giapponese (ovviamente all-you-can-eat, al risparmio).
Dopo un'attesa di un'ora si libera un tavolinetto per due, attorno al quale vi sistemate comodamente e ordinatamente in sei. Col sangue agli occhi dalla fame, date l'assalto al nastro trasportatore che conduce verso la loro fine innocenti baby-terrine. Dopo averne impilate una sessantina sul tavolo, creando inavvertitamente una replica uno a un milione di Tokyo, vi dedicate alla religiosa preparazione della trinità giapponese: wasabi, zenzero e salsa di soia. Poi vi applicate alla divorazione del sushi, ma già al primo boccone sentite una scossa salire dalla bocca fin sulla fronte per poi scendere come un fulmine verso naso e dintorni. Avete scelto male il ristorante? Ci sarà del veleno di pesce palla dentro il sushi? No: semplicemente, avete esagerato con il wasabi.
wasabi vignetta
Preso da Seo Kim Comics
Il wasabi è una piantina schiva ed educata che cresce solo in condizioni molto selettive ed è pertanto coltivata solo in poche regioni del Giappone. Nonostante la sua riservatezza, o proprio a causa di questa, il wasabi ha sviluppato un ingegnoso sistema per difendersi dai suoi persecutori: produrre isotiocianati, un gruppo di sostanze irritanti. Con gli animali normali, questa forma di difesa funziona bene: se c'è qualcosa di irritante, non la mangiano. Ma con animali bizzarri come gli esseri umani, la logica non è altrettanto lineare: il dolore può non essere un deterrente sufficiente, e anzi attrarre; tanto che c'è chi del ristorante giapponese ama prima e sopra tutto il piccolo tsunami di dolorosa emozione causato da una overdose di wasabi.

E in effetti, solo di un'emozione si tratta. Una volta messi in bocca, gli isotiocianati vengono a contatto con delle terminazioni nervose, dei "sensori" che scandagliano i nostri alimenti in cerca di sapori buoni o cattivi (dolce, salato, amaro, etc.) e di altre sostanze chimiche più o meno dannose. Gli isotiocianati non sono né utili né dannosi per il nostro organismo. Semplicemente, sono stati pensati dalla piantina di wasabi per stimolare una particolare proteina (il recettore TRPA1) situata sulla superficie delle cellule nervose addette a trasmetterci sensazioni dolorose.

La relazione che si stabilisce tra un isotiocianato e TRPA1 è speciale perché, invece di essere come al solito una cosa sbrigativa - come dire, una sveltina-  è un rapporto più stabile e profondo, come quello che ha un pesce con l'amo a cui ha abboccato.
Sentendosi agganciato, il recettore si contorce tutto, spalancando istintivamente la bocca. Questo causa l'apertura di un foro sulla superficie della cellula che funziona come un canale, e lascia entrare di colpo un sacco di molecole che normalmente stanno fuori dalla cellula, tra cui il calcio e il sodio. L'entrata di questi sali è come una boccata d'acqua di mare per la cellula, e le provoca una spiacevole agitazione in tutto il corpo, un'agitazione che si trasmette al nostro cervello dandoci una sensazione di dolore o fastidio.

TRPA1, il recettore del wasabi, è un pesce un po' stupido e finisce per abboccare a una lunga serie di sostanze, tra cui alcune contenute nella senape, nel rafano e anche nell'aglio, tutte piante che danno infatti una sensazione più o meno piacevole (dipende dai gusti) di pizzicore. La ragione è che questa proteina non riconosce la forma e/o la dimensione di una molecola (come avviene di solito), ma piuttosto il suo carattere, la sua capacità di reagire chimicamente. E infatti l'abituale funzione di TRPA1 è quella di attivarsi ogni volta che incontriamo sostanze chimiche troppo reattive, che potrebbero causare un danno all'organismo, e di spingerci a evitarle (non sempre con successo).

Ti è piaciuto questo post? Sostieni biocomiche.it al costo di


Altre Fonti
TRPA1 : A Sensory Channel of Many Talents (Capitolo 11 da "TRP Ion Channel Function in Sensory Transduction and Cellular Signaling Cascades.")

Nessun commento:

Posta un commento