I neonati sono dotati di una incredibile flessibilità scheletrica. A volte emergono dal parto con una inquietante conformazione della testa, schiacciata e irregolare come se fosse stata presa a martellate; ma dopo pochi giorni il cranio si risistema, e il minuscolo esserino non fa più così impressione.
Questa notevole duttilità è dovuta al fatto che le ossa dei neonati sono fatte in gran parte di cartilagine e non di osso, un tessuto molto più rigido.
A partire dalla nascita (e anche prima), le cartilagini iniziano a trasformarsi in ossa vere e proprie: vengono invase da vasi sanguigni e colonizzate da cellule piene di iniziativa, gli osteoblasti, che rimpiazzano quelle cartilaginee, morenti, e inaugurano giganteschi cantieri di costruzione.
Gli osteoblasti iniziano in tempi rapidissimi a edificare. Il materiale da costruzione è il collagene, una proteinona lunga e resistente che forma spontaneamente delle graziose trecce. Queste poi vengono accatastate e accostate le une alle altre, fino a creare delle massicce strutture colonnari chiamate fibre di collagene, che sono l'unità costruttiva di base dell'osso.
Gli osteoblasti lavorano con notevole rapidità, sfornando fibre di collagene a ritmo continuo. Purtroppo, nella fretta, nessuno si preoccupa di controllare come queste si dispongano. Abbandonate a se stesse, le fibre si spargono in tutte le direzioni, formando un groviglio disordinato che dà all'osso nascente l'aspetto di una spugna, o piuttosto di una porosissima pietra pomice. Il collagene infatti, non appena depositato, inizia a ricoprirsi di una specie di calcare che in poco tempo lo incrosta completamente, trasformandolo in una pietra. Questo minerale, responsabile in gran parte della durezza delle ossa, è composto essenzialmente di calcio e fosforo.
Quando il primo slancio produttivo degli osteoblasti si è esaurito, questi si guardano intorno e si rendono conto da soli di aver fatto un bel casino, dettato sì dalla necessità, ma soprattutto dalla fretta: i filamenti mineralizzati di collagene sono disposti a caso e si incrociano l'uno con l'altro, lasciando numerosi buchi che limitano notevolmente la resistenza allo sforzo della struttura.
Per alcune ossa (o parti di ossa) non troppo sotto pressione, la cosa può andar bene. Ma per le ossa portanti, quelle che sostengono il peso del corpo, c'è il rischio di un tracollo: sarà necessario ristrutturare integralmente la grande opera appena realizzata.
Ma il bambino cresce a ritmi cinesi e le risorse per la ristrutturazione non mancano. Gli osteoblasti si rimettono al lavoro, stavolta con un po' di criterio.
La differenza si vede. La seconda incarnazione dell'osso è una struttura estremamente ordinata. Le fibre di collagene si dispongono tutte per lungo, parallele l'una all'altra, a formare una colonna a strati concentrici, con al centro un foro dal quale passano i vasi sanguigni e i nervi, che garantiscono la comunicazione con il resto dell'organismo. Anche gli spazi tra i vari gruppi di fibre vengono riempiti e calcificati, per evitare pericolosi vuoti che potrebbero causare fragilità.
Ma che fine fanno gli osteoblasti? Queste simpatiche cellule, produttrici di cotanto capolavoro di ingegneria, rimangono intrappolate a miliardi all'interno della loro stessa opera, murate tra candide colonne di collagene calcificato. Completamente impossibilitate a muoversi, si mantengono in vita grazie a dei sottili tentacoli che estendono verso i loro vicini e che permettono loro un minimo di contatto con il mondo esterno.
Un osteoblasto all'opera... (Preso da Average Archaeologist) |
Il grande cantiere per la costruzione dell'osso viene infiltrato fin dal principio da loschi individui chiamati osteoclasti, assoldati da oscuri poteri per sabotare i lavori. Gli osteoclasti aderiscono all'osso e secernono degli acidi per corroderne la parte minerale; una volta liberato il collagene sottostante, se ne cibano con cannibale voracità. Gli osteoclasti sono quindi la nemesi degli osteoblasti: questi producono, quelli distruggono; questi costruiscono, quelli smantellano.
Come sempre, però, la divisione tra buoni e cattivi non è così netta. La vita di un osso, scandita da continue demolizioni e ricostruzioni in equilibrio dinamico tra di loro, è un vantaggio per tutti: c'è sempre lavoro, si "produce ricchezza", e soprattutto è possibile adattare l'osso, rimodellandolo, alle mutevoli necessità del momento.
Ad esempio, uno sforzo fisico che mette sotto pressione un particolare osso porta al suo irrobustimento; mentre l'inattività fisica dà un segnale opposto, rallentando la deposizione dei minerali e rendendo le ossa meno dense e meno resistenti.
Altre Fonti
Il titolo è bellissimo, e il post gli rende merito. Complimenti, anche per "il bambino cresce a ritmi cinesi", l'ho capita con qualche attimo di ritardo, ma poi... ancora rido :-).
RispondiEliminaGrazie Marco! Stavolta i tuoi complimenti mi fanno ancora più piacere del solito, mi sembra che questo sia uno dei capitoli più riusciti della saga...
RispondiEliminaIn materia di fibre, strutture portanti e costole di rinforzo...
RispondiEliminaBello, elegante e arricchente. Ogni articolo è più interessante del precedente.
Dunque la contesa osteoblasti vs osteoclasti è la causa dei nostri cambiamenti fisionomici, dell'evoluzione della forma del viso. Si può immaginare che atteggiamenti espressivi ripetuti possano essere un indirizzo al cambiamento di forma delle ossa del viso?
Per quanto riguarda il viso, le cose non sono così semplici. Anche se c'è un articolo sulle modificazioni cui vanno incontro le ossa facciali con l'età (http://journals.lww.com/plasreconsurg/Abstract/2007/02000/Aging_of_the_Midface_Bony_Elements__A.31.aspx), non ci sono ancora dati sostanziosi.
RispondiEliminaCredo che sia molto più importante per il cambiamento dei nostri lineamenti la crescita delle cartilagini (naso e orecchie) e il cambiamento di consistenza di muscoli e strutture "molli".
Ma è certo che le espressioni modellano le nostre rughe e quindi la nostra faccia, come i movimenti dei piedi modellano le pieghe e in generale l'aspetto di una scarpa di pelle...