I tipici sintomi influenzali associati a un'infezione (febbre, dolori, stanchezza) sono causati da delle sostanze prodotte dal nostro organismo che si chiamano prostaglandine.
Le prostaglandine vengono prodotte a partire dallo strato di grasso che circonda e delimita ogni cellula, e sono a tutti gli effetti dei grassi. In quanto tali, non vanno molto d'accordo con l'acqua (che costituisce la gran parte del nostro corpo) e non possono navigare molto lontano da dove sono state prodotte. Per questo le prostaglandine svolgono le loro funzioni localmente, per così dire a km zero.
Le prostaglandine che scatenano i sintomi influenzali nascono e agiscono nel cervello, nel quale sono prodotte in risposta a dei segnali di allarme causati dalle infezioni. Si potrebbe dedurne che i malesseri febbrili (come tutte le sensazioni che proviamo) siano in sostanza fantasiose creazioni della nostra mente. In un certo senso, è così.
Le prostaglandine vengono prodotte anche in molti altri tessuti del nostro organismo: quelle presenti nello stomaco, ad esempio, lo proteggono dai danni causati dagli acidi gastrici, mentre nel sistema circolatorio si occupano di regolare la pressione e la circolazione del sangue.
Quando ancora non si sapeva cosa fossero le prostaglandine (né i grassi e neanche le cellule, se per questo), era già risaputo che la corteccia dei salici poteva alleviare i sintomi che queste causano. Nell'ottocento venne scoperto il principio attivo contenuto nella corteccia, che fu poi modificato per renderlo più efficace e tollerabile. Era nato uno dei primi e più longevi farmaci della storia: l'acido acetilsalicilico, alias aspirina.
Prima che tu dica ancora una parola, avrò bisogno di un sacco di aspirina. Preso da A Perfect World. |
Nel cervello, in condizioni normali, di queste ciclossigenasi ce n'è poco o niente, il che gli impedisce di produrre prostaglandine. Quando il cervello ha sentore che qualcosa di spiacevole sta accadendo nelle vaste periferie del corpo, attiva immediatamente la produzione di ciclossigenasi e, di conseguenza, di prostaglandine.
L'aspirina blocca questo fermento sul nascere, impedendo al cervello di produrre le ciclossigenasi. Siccome di solito ricorriamo all'aspirina quando queste sono già state mobilitate e lavorano a pieno ritmo, l'aspirina si occupa anche di bloccare l'attività delle ciclossigenasi già prodotte, infilandocisi dentro come un tappo spalmato di mastice che non è più possibile tirare via, e impedendo loro in maniera permanente di svolgere le loro funzioni.
Nel frattempo, nello stomaco, il blocco delle ciclossigenasi causato dall'aspirina produce spiacevoli conseguenze. Le prostaglandine prodotte localmente servono infatti a proteggere lo stomaco dai liquami acidi e biliosi che esso stesso produce e a evitare che si digerisca da solo. Se questo meccanismo protettivo viene depresso dall'utilizzo cronico di aspirina (e di molti altri antinfiammatori che agiscono in maniera simile) si può arrivare a seri danni allo stomaco e alla formazione di ulcere gastriche.
Ma c'è un altro effetto imprevisto dell'aspirina.
Le ciclossigenasi sono presenti anche nelle piastrine, delle minuscole cellule zombie che hanno perso il loro nucleo e sopravvivono senza DNA (come vivere senza cervello). Queste cellule vagano nel nostro sangue, controllando che non ci siano ferite e che il sistema dei vasi sanguigni sia integro. Quando si apre una ferita, le piastrine ci si precipitano sopra, appiccicandosi l'una all'altra e formando una specie di crosta che ripara la perdita e blocca la fuoriuscita di sangue.
Queste croste, però, possono rendere difficoltoso il flusso sanguigno e fare del lavoro del cuore, che il sangue deve pomparlo in tutto il corpo, una miserabile fatica. Se il cuore non è proprio in forma smagliante, non regge a lungo a questo sforzo disumano e un bel giorno si arrende, boccheggiante, preda di un infarto.
L'aggregazione delle piastrine e la formazione delle croste dipendono dalla presenza di molecole che non sono proprio prostaglandine, ma ci assomigliano un sacco. E la cui produzione dipende dall'attività delle ciclossigenasi. L'aspirina, bloccando queste, rende le piastrine meno appiccicose, il sangue più scorrevole e il cuore più contento. Per questo l'aspirina, presa quotidianamente in piccole dosi (in una formulazione detta cardioaspirina), aiuta notevolmente a ridurre il rischio di infarto.
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